Nando Gizzi | fotografia | sacro profano | 160 euro | 45x45 cm


 Nando Gizzi è nato in Italia, a Termoli, nel 1986, ma vive e lavora a Parigi. È ricercatore alla Sorbonne Nouvelle (Paris 3), dove si occupa degli aspetti religiosi del cinema francese delle origini. Con le sue fotografie ha partecipato a diversi concorsi. Nel 2020 è stato selezionato tra i vincitori esposti alla Biennale fotografica di Clermont Ferrand, con un concorso a tema Du sacré au profane.

Le foto che compongono questa serie sono state scattate nello stesso periodo?No. Appartengono a progetti e momenti diversi, con qualche eccezione. A tratti le tue immagini sembrano molto ironiche… La mia famiglia è profondamente cattolica, e in realtà io provo un senso di rispetto al riguardo. Prendiamo la foto del frigo, ad esempio: mi ha fatto sorridere mentre la scattavo, ma in quell’immagine vedo mia madre, mio padre, mia nonna… C’è ironia, ma mai sarcasmo. Quanto c’è di progettato nelle tue foto, e quanto di casuale? Raramente progetto le fotografie a priori: non so farlo. Mi sento più uno che scopre le immagini. Sarà anche il formato quadrato della Rolleiflex, con la quale scatto, che mi spinge in certo modo a una sistemazione della realtà: mi costringe alla ricerca di un equilibrio nella composizione. Quali i tuoi riferimenti visivi? Per lavoro e passione, ho studiato molto la storia dell’arte e della fotografia. Ci sono fotografi a cui penso con particolare amore: Luigi Ghirri, la sua ricerca di un equilibrio tra immagini intelligenti e belle, e Bernard Plossu: ho bene in testa i colori caldi, pastosi, estivi di alcune sue foto. Amo molto anche la fotografia giapponese: Masahisa Fukase, ad esempio. Il suo modo di procedere istintivo. Perché hai realizzato degli scatti a Lourdes? Nell’estate del 2020 ho conosciuto una Lourdes unica: c’erano pochissime persone. I soli abitanti di questa città un po’ fantasma erano i pochi devoti e le statuette che affollavano lo spazio delle boutique. Un po’ nello stesso modo in cui le persone affollavano gli spazi aperti. Ho trovato affinità tra queste due piccole popolazioni, nel modo di disporsi negli spazi, nei colori. Le tre immagini di interni in bianco e nero, un po’ sfocati? Il soggetto è mia nonna: volevo catturare visivamente quel particolare sentimento che provo sempre a casa sua. La sfocatura l’ho cercata, per rendere la sensazione di un ricordo. Ma mi interessava soprattutto l’asimmetria: mia nonna tiene gli oggetti di casa molto ordinati, ma quello che la circonda è un ordine imperfetto, un equilibrio squilibrato. Lo trovo molto umano, commovente. Chi sono i personaggi senza testa? Ero in piazza, a Madrid. Ho còlto questo terzetto in costumi tipici spagnoli in un momento in cui non c’era nessuno. Per me, ironicamente, era anche un’immagine-specchio del viaggio che stavo facendo: ero con due amici. Torniamo alla foto del frigo. Parla di come in certi luoghi (al sud, casa mia, con tutte le implicazioni) sacro e profano si mescolino. In più, in Italia il cibo, è a tutti gli effetti sacro. Volevo giocarci un po’. Chi è la ragazza ritratta insieme al manichino? Un’amica, che mi ha aiutato a realizzare una foto in studio, mentre seguivo un corso di fotografia. Dovevamo fare un progetto, confrontarci con il tema della bellezza. Per caso, il manichino era monco. La scena si prestava a un curioso contrasto tra bellezza e difetto. Partecipi a concorsi, con le tue foto? Mi piacciono soprattutto i concorsi a tema, che mi spingono di pensare visivamente a immagini nuove. Andare alla ricerca di inquadrature che abbiano qualcosa da dire rispetto a un tema è qualcosa che mi motiva.